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Digitale: rischio passo indietro
Articolo pubblicato l'8 ottobre 2020 sull'edizione cartacea di
La scuola è il nostro passaporto per il futuro, poiché il domani appartiene a coloro che oggi si preparano ad affrontarlo».
Parole nette e chiare come queste assumono un valore ancora più grande se si pensa che il loro autore è stato capace di trascrivere un intero dizionario, parola per parola, nello sforzo di colmare il divario culturale e sociale che lo relegava in fondo alla scala delle opportunità, negli Stati Uniti degli anni '50.
Una parabola umana, quella di Malcom X, che conferma come l'accesso all'istruzione sia il primo passo per salire sull'ascensore sociale e migliorare la propria condizione. Il richiamo alla scuola è utile per comprendere il dilemma dei tanti imprenditori che oggi si trovano ad affrontare l'opzione digitale nell'immaginare il futuro della propria azienda. Parlare di economia della conoscenza equivale infatti a parlare di economia digitale e dunque di imprese digitali.
Oggi l'impresa o è digitale o, semplicemente, non è. Secondo un'analisi condotta da Anpal e Unioncamere, tra il 2015 e il 2019 più di una impresa italiana su due ha promosso investimenti in ambiti digitali. Segnali di vita - verrebbe da dire - che però rimangono ancora fragili.
Ancora nel 2019 il Digital Economy and Society Index vedeva l'Italia ferma al 26,2% per quota di forza lavoro con competenze digitali superiori a quelle di base, rispetto al 38,7% della media UE e con un divario sempre più marcato negli ultimi quattro anni. In questi mesi, uno dei risultati che la pandemia sta determinando è, peraltro, quello di esasperare le polarizzazioni dei sistemi sociali, offrendo una plusvalenza competitiva a chi si è fatto trovare dal Covid19 nelle posizioni più avvantaggiate rispetto a quanti già faticavano a misurarsi con i cambiamenti epocali in corso: nel lavoro, nella qualità dell'ambiente, nell'accesso ad un welfare dignitoso, nel cogliere le opportunità della rivoluzione digitale.
Per molti imprenditori lo tsunami del coronavirus è stato un vero e proprio "esame di maturità digitale": strumenti di e-commerce, remotizzazione dei servizi, smartworking approcci che hanno improvvisamente fatto irruzione nella vita delle loro aziende trovandoli impreparati.
Ma quanti imprenditori italiani hanno maturato una coscienza digitale? Cosa troveranno sulla spiaggia dopo che l'onda del Covid-19 si sarà ritirata? Cosa si può fare per portare il più rapidamente possibile le imprese che ancora non lo sono già nel perimetro dell'economia della conoscenza?
Da alcuni anni, il paradigma digitale è al centro dell'azione delle Camere di commercio che con il supporto di InfoCamere - la loro società di sistema per l'innovazione digitale - sono impegnate a trasferire a Pmi, professionisti e operatori del mercato una visione di futuro in cui la tecnologia è una leva che genera servizi efficaci e intuitivi. Dall'applicazione dei Big Data del Registro delle imprese a servizi, gratuiti ed innovativi, come il cassetto digitale dell'imprenditore impresa.italia.it, oggi utilizzato da 800mila imprenditori per avere sempre con sé e condividere i documenti ufficiali della propria impresa.
Nel ridisegnare la mappa dell'Italia economica del dopo-virus, l'obiettivo da perseguire deve essere quello di spalancare le porte dell'economia della conoscenza accompagnando cittadini e imprese nell'uso dei servizi digitali. Ai tempi del maestro Manzi, la televisione si rivelò il veicolo vincente per alfabetizzare gli italiani e modernizzare la nostra società. Oggi, una parte di quel ruolo si può affidare allo smartphone che portiamo in tasca.
La sfida delle competenze digitali non può essere una sfida del futuro ma del presente: essere disponibili a modificare il proprio status-quo per apprendere un nuovo lessico digitale, è condizione indispensabile per superarla. Se questi passaggi non verranno fatti, sprecheremo l'ennesima occasione.